Questa e le altre cinque domande che ci facciamo tutti sui vini dealcolati
Sono il tema (divisivo) del momento: c’è chi si rifiuta di provarli e chi ne è molto incuriosito. E questo vale sia tra chi i vini li produce e chi li consuma, dove il partito dei favorevoli e quello dei contrari si fronteggiano quotidianamente. Sicuramente i vini dealcolati fanno discutere perché scardinano una certezza secolare: quella che il vino deve contenere alcol, come previsto dalla legge italiana. Dallo scorso dicembre questa regola è stata superata perché un decreto ministeriale ha recepito il Regolamento europeo del 2021 che li consentiva.
Ecco dunque che da quest’anno in Italia è consentita la produzione di due nuove tipologie di vini: quelli a “parzialmente dealcolati” (dallo 0,5% al 9% e di gradazione alcolica, 6-7% per alcuni spumanti e vini frizzanti) e i “dealcolati” o “dealcolizzati” (meno dello 0,5% di alcol). Quindi i vini dealcolati non sono completamente privi di alcol (etanolo) ma ne contengono una quantità veramente minima. Solo quelli che indicano in etichetta “0% vol.” ne sono completamente privi. Il via libera alla produzione anche in Italia di vini a basso tenore di alcol o che ne sono privi è una rivoluzione che ha cambiato l’orizzonte del mondo del vino e che per molti produttori rappresenta un’autentica sfida. Ma anche una grande opportunità visto che ci si aspetta una crescita importante dei consumi. Oggi in Italia i vini No-low è valgono solo 3,3 milioni di euro, ma dovrebbero raggiungere i 15 milioni nei prossimi 4 anni, secondol’Osservatorio Uiv-Vinitaly. Ma davvero questi senza alcol sono capaci di reggere il confronto con i vini tradizionali? Per capire che effetto fa l’assenza di alcol in un vino e come cambia le sensazioni che si provano bevendolo bisogna fare un passo indietro e scoprire come si producono i vini senza alcol.
Dal vigneto all’arrivo in cantina vini e vini dealcolati seguono lo stesso percorso. Poi però si separano perché, per ottenere i dealcolati, occorre eliminare (in parte o completamente) la componente alcolica del vino (l’etanolo). Ci sono diversi procedimenti per farlo. Quelli ammessi da un apposito regolamento europeo sono la distillazione, l’uso di tecniche a membrana e la parziale evaporazione sottovuoto, e possono essere usati singolarmente o in combinazione, ma sempre sotto la responsabilità di un enologo o di un tecnico qualificato e in uno stabilimento dedicato, diverso da quello in viene prodotto il vino tradizionale. In tutti i casi si tratta di tecniche giovani e ancora in fase di miglioramento e di affinamento. L’obiettivo è di riuscire a ottenere vini senza alcol con un profumo e un gusto più gradevoli ma anche con un prezzo più contenuto di quello attuale, dovuto ai costi che i produttori devono sostenere per eliminare l’alcol.
La legge italiana stabilisce che i vini Dop (Denominazione di origine protetta) o Igp (Indicazione geografica protetta) non possano essere prodotti nella versione senza alcol. Quindi non vedremo un Prosecco Doc, un Nero d’Avola Doc o un Lambrusco Doc nella versione dealcolata. Invece la Francia permette la parziale dealcolizzazione dei vini a denominazione di origine.
Godersi il piacere del vino senza gli effetti negativi dell’alcol. Fantastico. Ma qual è il rovescio della medaglia? Il punto critico è che, togliendo l’alcol, si rompe l’equilibrio del vino e lo si priva di molte delle componenti che ne determinano il piacere di berlo. Infatti i processi di dealcolizzazione affievoliscono i composti volatili (come gli esteri e i terpeni) che regalano a vino i suoi sentori di frutta o di fiori. E poi manca l’apporto dell’alcol, che produce una percezione gustativa avvolgente che da corpo e morbidezza quando si mette in bocca, e quindi le componenti di acidità e i tannini emergono maggiormente. Ecco perché i produttori possono dover ricorrere all’aggiunta di prodotti enologici, zuccheri o additivi che permettono di ricostruire quel bouquet a cui ci siamo abituati quando gustiamo un bicchiere di buon vino. Come la gomma arabica, usata per migliorare la struttura, o il mosto concentrato rettificato, che aumenta la dolcezza. Quest’operazione non è però priva di rischi: alcuni additivi possono scatenare allergie nelle persone predisposte e può esserci anche un rischio di contaminazioni da microorganismi che, nel vino, sarebbero eliminati dall'alcol. Anche per questa ragione è bene consultare le etichette dei vini, dove dev’essere specificato il tipo di prodotto e dev’essere presente una descrizione chiara di tutti gli ingredienti.
Essendo stati privati dell’alcol, che è il principale responsabile degli effetti negativi associati al consumo di vino, i vini dealcolati non sono considerati dannosi per la salute e possono essere accomunati a ogni altra bevanda analcolica. Quindi, possono essere consumati anche durante la gravidanza o prima di mettersi alla guida o in caso di malattie (come la cirrosi) in cui è vietato consumare alcol.
E proprio perché sono stati privati dell’alcol, sono anche meno calorici dei vini tradizionali: un bicchiere da 125 ml di vino vino senza alcol apporta in media circa 20 kcal contro le 90 kcal di un vino classico.
La gradevolezza di un vino dealcolato è dettata da tanti fattori: oltre alla tecnica usata per produrli, molto dipende dall’uva di partenza. Gli studi condotti sinora mostrano che le uve con un'alta concentrazione di aromi e una buona struttura reggono meglio ai trattamenti di dealcolizzazione e non perdono le caratteristiche che li rendono piacevoli. Per questo gli esperti ritengono che le uve più adatte per questo tipo di vini siano quelle a bacca bianca, come Riesling, Sauvignon Blanc, Chardonnay e Malvasia. E questo spiega perché i bianchi e i rosati sono (al momento) i più convincenti tra i vini dealcolati. Sembra più difficile trovare la giusta armonia nei vini rossi dealcolati, che spesso risultano troppo acidi e “piatti”. La spiegazione è che nella dealcolizzazione viene perso il glicerolo, un alcol che dà al vino una sensazione di morbidezza, e questo fa sì che i tannini risultino molto più astringenti. Ma la dealcolizzazione è solo agli inizi e l’evoluzione delle tecniche permetterà sicuramente di ottenere presto vini più fini e più simili a quelli che siamo stati abituati a bere sino ad ora.
Concludendo: la sensazione data dall’assaporare un sorso di vino difficilmente si può provare quando viene eliminato l'alcol e il primo assaggio di un dealcolato può risultare destabilizzante. Ma affrontare un vino “no alcohol” come siamo abituati a fare con i vini classici potrebbe non essere il giusto approccio. Bisognerebbe invece avvicinarsi a questi vini senza pregiudizi e con una mente più aperta a nuove esperienze, magari sperimentandoli nella mixology per cui sono perfetti. E le tante esperienze di successo che ci sono nel mondo lo confermano. Il primo passo è partire dai vini bianchi o rosati, perché sono più vicini a quello che ci possiamo aspettare, e anche dalle “bollicine” perché ingannano il cervello facendogli credere che ci sia alcol, e assicurando così la stessa sensazione di uno spumante classico. Nel caso del vino rosso senza alcol meglio partire scegliendo quelli ottenuti da vitigni dalla personalità più spiccata, come Sauvignon o Grenache, perché danno risultati migliori rispetto a varietà più discrete, come Chardonnay, Pinot Nero o Merlot. Altrettanto importante è accompagnare un vino rosso “no alcol” con piatti che abbiano una componente di frutti rossi o viola (come ciliegie, prugne e frutti di bosco), perché riescono a contrastarne la sensazione di astringenza in bocca. In genere, gli esperti consigliano di abbinare i vini senza alcol a piatti, come insalate, verdure, pesci, frutti di mare, pollo arrosto e formaggi, perché reggono meglio l'acidità rispetto alle carni rosse.
Manuela Soressi,
giugno 2025