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News ed EventiNewsLe feste ai tempi della carsenza

Le feste ai tempi della carsenza

Storia di una ricetta perduta, simbolo di Capodanni in cui bastava poco per destare sorpresa. Una dolce memoria da tenere con noi

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Mi sono messa a pensare a un Capodanno diverso. Nessun bagliore, nessun abito elegante, nessuna ostentazione. E così, cercando, mi sono imbattuta nella carsenza. E qui mi sono persa, non ho trovato origini certe e dosi giuste. Tutto perduto, usanza e ricette, eppure questo piatto doveva essere ben conosciuto e diffuso, tanto che Francesco Cherubini, letterato milanese, lo inserisce tra i lemmi del suo vocabolario milanese - italiano del 1814, alla stregua del panettone.

Cos'è la carsenza
Prima di tutto dà la spiegazione di cos'è la carsenza: una focaccia schiacciata che "si distingue dal pane non solo per la forma ma anche per l'essere cotta leggermente. Questa specie di focaccia madre è sorella cittadina della brusada campagnola"; e se si va a questa voce si legge che è un "pane fatto di pasta di granoturco abbrustolata in pochi minuti e le più volte mal cotta. Nella pasta intridono spesso finocchio, cipolla, uva. In città si chiama carsenza". Quindi due varianti, una più rustica da contado e una per il popolo di città. Ma ne esiste una terza che l'autore definisce sorella nobile ed è la carsenza de bombon, una "focaccia dolce che si suol mangiare a Capo d'anno e per Befania e che è di più specie", cioè " de pasta dura", " de pasta frolla", "de pasta levada", "de pasta sfojada", " de mezza pasta" o anche "in padella".

Ma chi se la ricorda più?
In rete si trovano poche tracce, nei libri di ricette nessuna, vengono in aiuto scrittori e poeti che confermano la sua esistenza, come il milanese Giovanni Rajberti, (1805-1861) che scrive: "El primm de l'ann se comenza, a mangià la carsenza". Mentre una recentissima raccolta di poesie in vernacolo di Elena Paredi ci spiega che la carsenza de bombon "l'era on dolz bell pacciarott, rond e l'era ona frittola de pasta de pan indolzida con on ciccin de ughetta che, frignada in de l'òli e butter¿i gent pacciavan dasin dasin perché denter in vuna de quelle, gh'era ona moneda de biancumm, `me sorpresa". Di fatto una grossa frittella di pane addolcita dall'uvetta e spolverizzata di zucchero, in pratica la versione in padella del Cherubini, da mangiare piano piano perché, come sorpresa di buon augurio per l'anno nuovo, poteva contenere una moneta d'argento. Chi non la friggeva, la cuoceva in una teglia posta di lato al focolare perché la cottura fosse lenta e il dolce potesse lievitare senza bruciare. Origini antiche, se già nel 1814 era citata nel vocabolario, ma sempre figlia della pasta da pane, quel pane che andava cotto una volta alla settimana nei forni comuni. Dalla forma della pagnotta ancora cruda le massaie toglievano una parte dell'impasto che conservavano un paio di giorni per lavorarlo nuovamente con farina, acqua e quel che si aveva: mele, uvetta, pere, fichi. Nasceva così la carsenza de bombon che durante le feste era ancora più preziosa perché, almeno una volta all'anno, poteva essere ricavata dal pane bianco, come racconta Annalisa Panigada in un testo trovato nel sito dell'associazione culturale milanese "Antica credenza di Sant'Ambrogio": "la tradizione racconta che la sera dell'ultimo dell'anno, dopo che i bimbi erano andati a letto, con il pane bianco avanzato dal giorno di Natale la mamma impastava questa dolce sorpresa da gustare a Capodanno". E chi viveva nelle cascine intorno a Milano aveva a disposizione anche latte, panna, burro e uova che trasformavano la carsenza de bombon da un dolce semplicissimo a un dolce da festa. Troppo povero per il Capodanno di oggi, troppo distante dai nostri gusti? Il fatto è che la società cambia, ma la memoria deve restare. Chi ne ha notizia si faccia avanti.

Laura Maragliano
gennaio 2022

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