Una storia di migrazione al contrario, partita nell'Ottocento, quando erano gli svizzeri a cercare lavoro in Italia. Con sorprendenti, dolcissimi risultati
Nel 1973 Nino Manfredi usciva nelle sale cinematografiche con Pane e cioccolata, un film che parlava dell'emigrazione italiana in Svizzera alternando al dramma un po' di scanzonato umorismo. In realtà evidenziava un grosso fenomeno che, dalla fine dell'Ottocento sino oltre i nostri anni '60, ha coinvolto ben 5 milioni di italiani. La pellicola si è aggiudicata vari premi ed è stata inserita nell'elenco dei 100 film italiani da salvare. Con questo imponente flusso migratorio fa sorridere parlare di un'emigrazione al contrario: dalla Svizzera all'Italia. Certo, molto più piccola, ma ha lasciato il segno. Da molte vallate del Cantone dei Grigioni si spostarono già dal Medioevo uomini e donne per offrire manodopera nelle città del Nord Italia. Il flusso aumentò all'inizio del ‘600, in seguito a un accordo tra la Repubblica di Venezia e il Cantone: la Serenissima poteva far transitare sui valichi le merci dirette al Nord Europa e i grigionesi potevano trovare sbocchi lavorativi nella città lagunare. Approdarono a Venezia molti giovani che impararono un mestiere in panetteria e pasticceria: zuccherieri, confettieri, caffettieri, cioccolatai, mescitori di vini e liquori, ma anche fabbricanti di limonate, orzate... Tra il Sei e il Settecento, su 42 pasticcerie e caffè cittadini ben 38 erano in mani svizzere e nel 1725 oltre 100 locali veneziani erano gestiti dai grigionesi. Ma, come spesso accade sullo scacchiere politico, le alleanze cambiano e un trattato tra gli svizzeri e gli austriaci del 1766 penalizzò Venezia, che revocò i privilegi commerciali ed espulse i grigionesi. Le competenze acquisite e la fama di esperti del dolce, favorirono i pasticcieri grigionesi che portarono le loro conoscenze in Spagna, Russia, Inghilterra, Francia, Olanda, Belgio e Italia. Si formò presto una fitta rete di locali che in Italia si riconoscono ancora per l'insegna "Pasticceria svizzera". Una mostra su questo fenomeno, organizzata nel 2009 al Johann Jacobs Museum di Zurigo, svelava come al momento dell'esposizione, fossero stati trovati 9917 pasticcieri grigionesi in 1054 località europee, ma le ricerche erano tutt'altro che concluse. Oggi qualche goloso potrebbe intraprendere un bel giro d'Italia zigzagando da Nord a Sud per scoprire, per esempio, che a Livorno è nata la prima pasticceria di Luigi Caflisch, uno dei più famosi pasticcieri svizzeri in Italia. Da Livorno, dove imparò il mestiere e aprì il primo locale, Luigi lasciò il segno a Civitavecchia, Roma e Napoli: qui, nel 1825, aprì il Caffè Caflisch che entrò nella storia della città (ai suoi tavolini si decidevano accordi politici). Dopo Napoli approdò a Palermo e a Catania, ed è proprio nel capoluogo siciliano che incontra un altro grigionese, Alessandro Caveziel e gli insegna il mestiere. Ad entrambi si deve la nascita della pasticceria siciliana moderna con l'introduzione di nuove tecniche e l'uso di burro, panna e creme. Nel 1914 Caveziel apre il suo locale a Catania: un luogo magico dove assaporare gelati, sorbetti, paste e pizzette. Ai suoi tavolini si fermano Ercole Patti e Giovanni Verga. Il figlio Luca è considerato il padre del gelato artigianale e nel cuore dei catanesi è ben impressa la bontà della torta Savoia, della Foresta Nera e della sublime cassata. Nell'Ottocento a Genova si contano ben 12 pasticcerie svizzere, tra queste quella dei fratelli Klainguti, famosi per la torta Engadina, la Zena e la brioche Falstaff, creata per Giuseppe Verdi. Da Genova il viaggio prosegue verso Chiavari, Sarzana, La Spezia, Pontremoli, Aulla, Massa Carrara, Borgotaro, Casalmaggiore, Perugia, Roma e persino Cagliari. Il cuore lombardo della pasticceria elvetica è invece Mantova dove, dal 1798, si stabilirono i Putscher, già abili pasticcieri che arrivarono dai Grigioni. Ad Antonio Putscher si deve la creazione di due ricette straordinarie legate alla tradizione della città: l'Anello del Monaco, ancora oggi il panettone dei mantovani, e la Torta Helvetia, un capolavoro di inizio Ottocento, nato dall'unione di tecnica pasticcera e prodotti locali, per dare vita a tre dischi friabili farciti con crema al burro e zabaione. Molte di queste pasticcerie oggi non esistono più o sono gestite da nuovi proprietari. Dell'immigrazione ottocentesca rimane un'eredità fatta di tecnica e di un repertorio di dolci che hanno fatto grande la pasticceria italiana.
Direttore editoriale di Sale&Pepe (di cui è stata direttore responsabile dal 2008 e dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate), è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.
Direttore editoriale di Sale&Pepe (di cui è stata direttore responsabile dal 2008 e dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate), è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.