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News ed EventiNewsAntibiotici nel cibo, è ora di cambiare

Antibiotici nel cibo, è ora di cambiare

I batteri resistenti agli antimicrobici minacciano la nostra salute. E gli esperti preoccupati lanciano un monito: bisogna abbattere l'uso di antibiotici nell'allevamento

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Gli animali che mangiamo sono farciti di antibiotici e i batteri patogeni che tali farmaci dovrebbero combattere sono davvero diventati sempre più resistenti. L'allarme di medici e scienziati e il dibattito sull'opportunità di cambiare le cose dura da tempo e adesso si fa più serio.

Nel Regno Unito in questi giorni il tema è caldo: recentemente è stata scoperta carne di maiale contaminata in vendita nei più importanti supermercati del Paese, infetta da un batterio resistente agli antibiotici. Si tratta di un ceppo superpotente dello Staphylococcus aureus (nell'immagine, nell'intestino tenue) resistente alla meticillina e agli antibiotici beta-lattamici (quindi penicilline e cefalosporine) denominato MRSA CC398, di cui molte persone possono essere portatori sani, ma ad altre ha dato forti problemi cutanei e può causare infezioni a rischio di vita come la polmonite. La carne proveniva principalmente dalla Danimarca, Paese in cui due terzi dei maiali sono infetti e circa 2000 persone sono state contaminate negli ultimi due anni.

I batteri, come tutti gli esseri viventi, si adattano ed evolvono e queste mutazioni genetiche li fanno diventare sempre più resistenti ai farmaci che vorrebbero toglierli di mezzo. Pura questione di sopravvivenza, per i batteri, che significa maggior rischio di malattia per noi. Visto che se i farmaci non sono più efficaci, si possono rimpiazzare con altri sempre più potenti – come già succede – ma con un limite: quello in cui sull'antibiotico hanno la meglio i batteri.

L'uso degli antibiotici è smodato nell'allevamento intensivo, dove vengono usati non solo per frenare malattie ed epidemie degli animali ammassati, ma per pompare la loro crescita. Via mangime, gli antibiotici arrivano a pesci, mucche, polli&C, e attraverso le loro carni e i loro derivati arrivano a noi. Non solo: oltre agli antibiotici, possono arrivare i batteri che a quegli antibiotici hanno resistito. E gli scarti animali contaminano i terreni, le acque, gli animali selvatici, i prodotti agricoli e gli altri cibi.

Il rapporto dello scorso anno dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (guarda qui), che monitora la situazione, debutta con le testuali parole: “La resistenza agli antimicrobici minaccia una prevenzione e una cura efficace di una gamma sempre più vasta d'infezioni causate da batteri, parassiti, virus e funghi. Un numero crescente di governi nel mondo si sta sforzando di risolvere il problema, che è così serio da minacciare le conquiste della medicina moderna. Un'era post-antibiotici – nella quale infezioni banali e ferite minori possono uccidere – è lungi dall'essere uno scenario apocalittico di fantasia: è invece una reale possibilità per il 21mo secolo”.

Un rapporto del mese scorso redatto da un gruppo interdisciplinari di esperti (guarda qui) avvisa: per frenare l'espansione dei batteri resistenti agli antibiotici la soluzione è tagliare drasticamente l'uso e l'abuso di farmaci antimicrobici dati agli animali e agli esseri umani. L'uso di antibiotici nel mondo continua invece ad aumentare in modo vertiginoso: in Paesi come Brasile, Cina e Russia è quasi raddoppiato ed entro il 2030 aumenterà del 67% globalmente. Secondo molti esperti, tre quarti di quelli usati per il bestiame potrebbero essere risparmiati. In Europa ogni anno 25mila persone muoiono a causa della resistenza agli antibiotici. In Italia, che fa parte del gruppo di Paesi con livelli di resistenza più alti in Europa, tra i 5000 e i 7000 decessi all'anno sono riconducibili ad infezioni dovute ad antibioticoresistenza, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro.

Alcune multinazionali globali, da McDonald’s a Walmart, hanno annunciato la fine dell’uso di antibiotici importanti per la salute umana. Salvo che il veterinario diversamente ritenga. E cioé: nessun cambiamento sostanziale probabilmente alle porte. Alcuni produttori, però, vista la crescente preoccupazione dei consumatori, vogliono dedicarsi all'allevamento “antibiotic-free”. Un marchio che però rischierebbe di dividere il mercato della carne in una minoranza privilegiata e una maggioranza potenzialmente contaminata, senza risolver poi molto il problema globale della resistenza agli antibiotici. Che è invece fondamentale e va affrontato in modo sistematico.

Carola Traverso Saibante
19 giungo 2015

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