Il suo profumo è inconfondibile e penetrante. Il gusto, unico e particolare. Di tartufo è sufficiente una piccola quantità per insaporire anche i piatti più semplici. Uno dei primi a magnificarne le qualità fu Giovenale, poeta dell’antica Roma che sosteneva fosse nato da un fulmine lanciato da Giove vicino a una quercia. E poiché il padre degli dei era noto per la sua inesauribile attività sessuale, al tartufo furono attribuite proprietà afrodisiache.
Questo pregiato vegetale è di fatto un fungo ipogeo (cresce sottoterra) che vive in simbiosi con le querce e altre piante arboree. Noccioli, pioppi, tigli, salici sono vere e proprie tartufaie naturali che, insieme alla composizione del terreno (argilloso-calcareo) e al microclima, influenzano sapori e forme delle trifole. A scovarle sono cercatori allenati, muniti di patentino, che si tramandano il mestiere di generazione in generazione, e cani con fiuto eccezionale.
Una zona d’elezione per la raccolta è Acqualagna, cittadina marchigiana in provincia di Pesaro-Urbino, tra le colline a ridosso della riserva naturale "Gola del Furlo". Qui si concentrano i 2/3 della produzione nazionale (600-700 quintali) e si trova il tartufo tutto l’anno, nelle sue 4 varietà stagionali: dal più nobile tartufo bianco pregiato di Acqualagna e di Alba (Tuber magnatum Pico), che si raccoglie dal 1° ottobre al 31 dicembre, al nero pregiato, fino ai meno preziosi bianchetto e nero estivo. Oltre alla qualità, il fungo viene catalogato secondo la pezzatura e, in base alla Borsa apposita, i prezzi per il bianco pregiato variano da 150 a 220 euro/100 g (per gli esemplari oltre i 50 g).
Come si riconosce una buona trifola?
In primo luogo dal profumo gradevole: se è acerbo non odora, se è troppo maturo, puzza; la scorza deve avere un colorito brillante, essere ripulita dalla terra, non “rattrappita” né molle al tatto, perché significa che il tubero è stato troppo a contatto con la terra bagnata ed è eccessivamente maturo. Il bianco pregiato si mangia crudo, tagliato a lamelle con l’apposita taglierina (dai 7-8 g ai 15 g a testa) e adagiato direttamente sulle pietanze, preferibilmente semplici, che esaltino il suo sapore senza coprirlo. Si esprime al meglio sui crostini caldi, sui primi classici come i taglierini e le tagliatelle, il risotto e gli gnocchi, sulle uova (al tegamino, strapazzate, in frittata), con la fonduta di formaggi, sul carpaccio di carne.
Ma il suo gusto inconfondibile può arricchire i canapé e i vol au vent al formaggio, regalare un tocco nobile alle insalate più chic, agli asparagi alla Bismarck e agli sformati di verdure. Da provare anche sulle vellutate di crostacei, sugli agnolotti, i cappelletti e i timballi di riso. Fra i secondi anche il pesce si può accostare al tartufo, dalla sogliola all’aragosta. E le carni? Perfetti i tournedos.
a cura di Marina Cella, testi di Anna Maria Covelli
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